mercoledì 24 giugno 2009

mercoledì 27 maggio 2009

LA MIA CARTA D'IDENTITA' DIGITALE

1990: avevo una repulsione per qualsiasi cosa fosse tecnologicamente avanzato. Avendo frequentato una scuola superiore prettamente tecnica mi ero affezionata alla mia macchina da scrivere e pensavo che potessi risolvere tutto tramite essa.

1991: quando poi mi iscrissi all’università (questa è la mia seconda laurea) incominciai ad utilizzare il computer. Ebbene l’impatto iniziale fu drammatico. Mi avvicinai ad esso con molto sacrificio, pensavo che il suo utilizzo fosse un qualcosa di superfluo. Per fortuna pian pano feci “amicizia” con esso sino a diventarmi indispensabile.

1991/1997: il mio corso di studio universitario non mi imponeva l’obbligo di utilizzare il computer, quindi terminai la mia carriera universitaria senza mai avere bisogno di esso. Eccetto la tesi…

1997: Scissi la mia tesi sul computer e da allora in poi non abbandonai più questo strumento indispensabile, oramai.

Al riguardo del cellulare, ebbe nella mia vita, un corso molto simile al computer. L’impatto iniziale non fu felice, avevo l’idea che fosse uno strumento non indispensabile e mi rifiutai di possederlo. In seguito (1998) mi venne regalato e da allora non me ne liberai più.

1998: trovai lavoro. Ebbene per forza di cose dovetti utilizzare sia il computer che il telefonino ed oggi sono diventati gli strumenti indispensabili della mia attività lavorativa e non solo.

2007: mi riscrissi nuovamente all’università. Questa nuova facoltà di laurea impone l’utilizzo del computer. Sono contenta per questo, avrò modo così di aumentare le conoscenze che mi legano a questo strumento.

2009: concludo dicendo: ben vengano nuovi programmi, nuove invenzioni tecnologiche che permettano ad ognuno di noi di interagire con il mondo tramite nuove strade.
Un pò alla volta sto caricando in questo blog spezzoni di musicals tra i più noti.
Aspetto da voi qualche suggerimento e qualche indicazione per scaovare qualcosa di carino ed interessante!!!

Che storia!!

Un ragazzo di Chicago, Ren McCormack (interpretato da Kevin Bacon), si trasferisce con la madre a Boomont,un piccolo paese di provincia che ha bandito la musica Rock, il ballo e tutto ciò che può corrompere la moralità della cittadina dopo che pochi anni prima quattro ragazzi (tra cui il figlio del reverendo del paese) sono morti mentre tornavano da un concerto fuori città. Da subito Ren si fa dei nemici, a partire dal ragazzo e dal padre di Ariel, per finire con tutto il resto del paese (tranne Willard, Rusty e pochi altri), che lo etichettano come un ragazzo senza morale perché non capisce le regole del paesino e legge romanzi considerati peccaminosi come "Mattatoio n°5" (di Kurt Vonnegut, n.d.a.). Ma proprio per questo suo aspetto "ribelle" Ariel si innamora di lui, anche per contrastare apertamente il padre, il reverendo Shaw, secondo lei colpevole del bigottismo dilagante nella cittadina, che prima aveva disobbedito solo di nascosto, e lo aiuta a ottenere l'autorizzazione per fare il ballo di fine anno nel magazzino fuori città dove Ren lavora anche grazie alla sua conoscenza, piuttosto ovvia, della bibbia e del suo talento di poetessa. Il reverendo comprende in seguito ad uno spiacevole episodio (alcuni cittadini particolarmente ferventi decidono di bruciare alcuni dei libri della bibilioteca scolastica) che negare alcune libertà, come appunto l'ascolto della musica Rock, non è prerogativa di un gruppo di persone segnate da un dolore, e che invece lasciare ai ragazzi la libertà di crescere è senza dubbio la scelta migliore.

I favolosi anni Cinquanta


Quando nel 1943 gli Stati Uniti entrarono in guerra, il musical aveva già espresso tutte le sue intrinseche potenzialità e si trovava in una fase di stallo se non proprio di crisi: molti dei personaggi che erano venuti alla ribalta a cavallo tra gli anni Venti e gli anni Trenta avevano da anni concluso la loro carriera, altri erano ormai sul viale del tramonto e comunque incapaci di apportare migliorie e venti rivoluzionai ad un genere che appariva ormai svuotato, incapace di esprimere di più di quanto già avesse fatto. Gli anni della guerra si contraddistinsero per il cinema americano come gli anni dell’impegno sociale e politico, ragion per cui, nel panorama delle grosse produzioni, non sembrava più esserci posto per i temi dell’evasione dalla realtà, del sogno a tutti i costi, delle fantasmagorie coreografiche, che avevano segnato i film del decennio precedente. Solo nel dopoguerra e durante gli anni bui, fitti di insicurezze sul futuro, poco rassicuranti per i singoli come per l’intera nazione, dei governi di Eisenhower e MacCarthy, il desiderio di fuggire dalla realtà, cercando nella fantasia, seppur cinematografica, una via di scampo, fecero risorgere, novella araba fenice, il musical dalle sue ceneri. Ma i tempi erano cambiati e l’età dell’oro di Berkeley e delle produzioni della Warner, della leggenda di Ginger Rogers e Fred Astaire, dei vari Al Jolson, Maurice Chevalier, Dick Powell…, gli anni del mito di Hollywood e dei suoi grandi produttori, erano finiti per sempre. Le nuove produzioni, per quanto si richiamassero agli antichi fasti, erano molto più vincolate alla realtà e raccontavano storie non del tutto estranee al contesto sociale ed economico del Paese, alla situazione politica nella quale versava. D’altra parte, dall’Europa, arrivavano le ventate di novità proposte dal cinema neorealista (soprattutto italiano) e Hollywood aveva dovuto fare i conti con il bigottismo moralista del maccartismo che aveva costretto molti autori e produttori ad emigrare altrove, cercando in esilio rifugio per le loro idee (il famoso “processo dei dieci di Hollywood” in seguito al quale, anche ad un personaggio del calibro di Charlie Chaplin, fu vietato di mettere piede negli Stati Uniti). Sulla scena si affacciavano nuovi volti, giovani di belle speranze, la cui esperienza aveva solo sfiorato quella dei grandi del musical classico, e furono proprio costoro a far rivivere, anche se solo per meno di un decennio, il sogno di quell’antico mito. Vincente Minelli, Arthur Freed, Stanley Donen e quello che era destinato a prendere il posto di Fred Astaire nel cuore degli spettatori, Gene Kelly, furono tutti impegnati, fino alla fine degli anni Cinquanta, nella produzione di spettacoli che ottennero spesso un enorme successo, diversi da quelli cui si rifacevano, per lo meno come tradizione, ma proprio per questo più consoni al momento storico e carichi di significazioni che quelli, negli anni, peraltro gloriosi, della loro vecchiaia, avevano perduto.

domenica 24 maggio 2009

NOTREDAME

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Come stiamo pian piano scoprendo insieme il musical è un prodotto essenzialmente americano... in Italia d'altra parte ha largo successo...
Ma le nostre produzioni?