In Chicago il virtuosismo della struttura e la strabiliante abilità del montaggio riescono a nascondere con stile la crisi inventiva del cinema Hollywoodiano ma soprattutto il bisogno di ridefinire i propri valori da parte della società americana. La storia di Roxie e Velna , le due ballerine assassine che nella Chicago del 1929 si ritrovano in carcere e, rubandosi la scena l’una con l’altra , assistite da un avido avvocato , ottengono le prime pagine dei rotocalchi , era in origine una pièce teatrale datata 1926 ispirata a un fatto di cronaca scoperto dall’autrice la giornalista Maurine Dallas Watkins ; l’opera ispirò due film, uno muto ormai del tutto dimenticato nel ’27 e uno, molto più famoso, nel ’42 , girato da Williams Wellmann, intitolato “Condannatemi se vi riesce”con Ginger Rogers; poi nel’ 75 il geniale regista-coreografo Rob Fosse il musicista John Kander e il librettista Fred Ebb ne fecero un musical di strepitoso successo a Brodway. Da lì proviene anche il regista coreografo di Chicago Rob Marshal , il quale dal celebre musical e più in generale dalla sua profonda conoscenza della storia di questo genere , ha tratto il suo lungometraggio. Tutto questo per dire che una gran parte del cinema statunitense contemporaneo si è trasformato in un esercizio di filologia pura: più che cercare nuove strade o sforzarsi di rappresentare la realtà , come fa persino il cinema italiano, per non parlare di quello europeo, i registi U.S.A. non fanno altro che rielaborare e ricostruire ossessivamente vecchie immagini, generi inattuali, e le loro opere sono rivisitazioni colte e raffinate del passato più o meno prossimo: Haynes in Lontano dal paradiso, torna agli anni ’50, Marshal qui torna agli anni ’30, quelli di Al Capone, del proibizionismo e della grande depressione economica, il grande Brian de Palma in Femme fatale gira una pellicola , limitandosi a citarne altre, o ancora Scorsese racconta in Gang of New York a modo suo il mito della fondazione della grande Mela. Insomma , quando si spengono le luci e inizia la proiezione, si entra nello sciptorium di un convento medievale, dove monaci copisti sono intenti a trascrivere antichi manoscritti di autori classici, mentre intorno a loro il mondo è sconvolto dai cambiamenti. La metafora forse è un po’ azzardata e non del tutto propria, ma serve in qualche modo a dare una spiegazione del solco sempre più profondo creatosi fra il cinema europeo e quello a stelle e strisce. Ancorarsi al passato e studiarlo diventa vitale, quando il presente mette violentemente in crisi i valori fondanti di una civiltà; gli americani hanno vissuto prima la crisi economica conseguente allo scoppio traumatico in borsa della bolla speculativa, l’’11 settembre, scandali finanziare dalle conseguenze devastanti e vivono ora una guerra, dai costi , almeno per ora, non calcolabili. E anche probabile che l’esercito di Bush riesca a vincere, almeno teoricamente, il duello militare con Saddam Hussein , ma la sfida vera è altra: una civiltà è grande, se sa ridefinire se stessa adeguandosi alle metamorfosi continue imposte dalla storia. E di tale urgenza, vitale per la soppravvivenza , il cinema a stelle e strisce almeno in parte sta prendendo coscienza: nei film sopra citati, ci sarà sicuramente il gusto post-moderno per la citazione, l’incapacità inventiva o di analisi , ma si intravede anche la ricerca nel passato del recuperabile in un universo incomprensibile dove nulla più è come era prima e il bisogno di riflessione e di critica nei confronti di una società, delle sue istituzioni, della sua forma mentis e del suo modo di fare arte. Proprio in Chicago , da una lettura meno epidermica e meno attenta ai fattori puramente tecnico- estetici , fuoriesce la presa in giro inclemente dell’orgoglio dell’uomo medio americano per l’appartenenza a un sistema di vita ritenuto fino a qualche tempo fa ineguagliabile e inconfondibile . L’avvocato Billy Flinn (Gere), l’abilissimo principe del Foro difensore delle future celebrità, poco prima del processo spiega a una tutt’altro che ingenua Roxie ( Zellweger) la rudimentale filosofia di vita di una Chicago, nella quale persino Gesù, se avesse avuto i 5000 dollari, sarebbe diventato un caso da prima pagina e sarebbe stato assolto: “E’ un circo ragazzina. Un circo a tre piste.Questi processi. Il mondo intero, sono solo uno spettacolo” e subito dopo, saltellando in un meraviglioso tip-tap ribadirà”Se sei in difficoltà, balla e canta.” Ed eccoci proiettati nel sogno americano: la trovata di Marshal di trasformare le fantasie di gloria dell’ancora sconosciuta Roxie in uno splendente e abbagliante musical , dove lei regna regina incontrastata del palcoscenico, è anche una divertita e colta satira del mito del self-made-man: la statuetta della Rolls color crema è icona del successo , simbolo dell’elegantissimo avvocato arrivato ai vertici della sua carriera , semplicemente manipolando i media e subordinando al suo protagonismo e al suo conto in banca le tragedie altrui, che in realtà raramente sono tali, perché la smania di arrivare non risparmia nessuno e il dolore esiste solo per essere ostentato davanti ai flash dei fotografi. E non c’è salvezza per nessuno: solo il marito di Roxie è diverso, non perché puro, ma perché stupido. Gli altri invece si integrano felicemente: Roxie e Velna,, pur odiandosi nella realtà, finiranno con il diventare alleate e diventeranno le “ballerine assassine” e, essendo due, faranno impazzire il pubblico. Questa è l’America ? Vengono in mente mentre si guardano le ultime impietose sequenze di Chicago i quadri agghiaccianti nei tg da Baghdad……ben presto i marines saliranno sul palcoscenico , con il costume da ballerini, impugneranno un grottesco mitra bianco e faranno la loro danza. O forse Hollywood uscirà dallo scriptorium?
Augusto Leone
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