domenica 17 maggio 2009

GLI ALBORI...

Già a partire dalle prime opere significative e prima ancora che potesse essere percepito come tale e quindi codificato, il musical si configurò come genere a se stante, con regole molto precise che lo contraddistinguevano da tutte le altre produzioni del momento: dal punto di vista tematico (e quindi per la sceneggiatura), per quanto riguarda la resa scenica (scenografie, movimenti di macchina, stile di recitazione, ambientazioni), per le sue specificità (equilibrio perfetto tra parti recitate, cantate e ballate per il raggiungimento di un’opera globale in cui tutto concorre a trasmettere allo spettatore un senso di unitarietà e uniformità). Sin da subito, quindi, il musical si affermò come genere e come genere tipicamente americano, accanto al western, di cui divenne una sorta di controcanto visivo: se, infatti, quest’ultimo si proponeva come epopea della storia statunitense tanto da essere paragonato, nella storia della cultura americana, alla nostra letteratura classica, quello, il musical, ne rappresentava la dimensione onirica e di svago, il rovescio della medaglia, ridanciano e gioioso, della medesima tradizione culturale.
Nonostante questo, spiegare cosa renda un film qualunque un musical e quali siano gli elementi ricorrenti che ne stabiliscono le coordinate e i confini, non è affatto semplice, poiché non basta che un film sia musicale perché possa essere considerato “musical”. Innanzitutto, e questo è chiaro, non si tratta né di un film-opera, né di un film-concerto, e neppure di una commedia con musiche e canzoni ad intervallare le varie fasi della messa in scena, anche se, ovviamente, gli ingredienti base, accanto al recitato, sono proprio la musica, la danza e il canto, insaporiti da fantasmagoriche (e l’aggettivo non è affatto eccessivo se si pensa a certe produzioni di
Busby Berkeley) evoluzioni coreografiche. Perché si possa parlare di “musical”, però, è necessario che queste diventino parte integrante col corpo del film, reagendo con esso sia sul piano narrativo che su quello psicologico, e non restino episodi separati, avulsi dal contesto. Questo per quanto riguarda l’aspetto prettamente tecnico e di peculiarità sceniche, ma in realtà c’è ancora dell’altro: la formula che ha fatto del musical il genere per eccellenza del cinema americano, non può essere ridotta esclusivamente alla perfetta integrazione delle performance musicali con il resto della messa in scena. Il segreto del musical è qualcosa che ha a che fare soprattutto con l’emozione che esso è in grado di suscitare nello spettatore, proiettandolo in una realtà che sembra perdere di vista per qualche istante la realtà dei fatti per immergersi in un mondo onirico e di favola. Si tratta, in pratica, di un viaggio negli spazi del sogno e, più in particolare, nel sogno di una nazione che stava diventando tale e ne prendeva coscienza con tutto il dolore e la sofferenza che questo comportava, una sorta di catarsi di massa in un universo di suoni e colori.

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